Quanto spazio per la poesia, nelle pause illimitate di questa deliziosa banda. In queste composizioni desertificate sta tutto il sentimento desolato dei nostri giorni, così privo di abbellimenti sterili da sembrare il frutto di uno splendente disincanto, profondamente colto e leggero. Non mi mancano le consolazioni nei giorni in cui vedo la fine del mondo come lo conosciamo: respiro il suono di queste onde che nemmeno han bisogno di echi prolungati, per mutare sostanza ed apparenza nel paesaggio. Ne colgo il riverbero luminoso di superfice, e mi sento bene.

Ci vogliono esperienze importanti per adoperare tutta questa laconicità, una autorevolezza che resista alle steppe, un uso esteso della solitudine, che ha il sapore di transumanze celesti, di dialoghi silenziosi con compagni distanti. Ma ci sono pochi dubbi qui, questa è gente che ha visto bene in faccia lo stato della condizione umana attuale. Chissà, forse i texani sono più esposti di altri ad una frontiera che somiglia sempre più ai confini della terra, forse è la catastrofe economica che colpisce senza freno gli stati del sud, quel che mi pare è che qui si colga perfettamente il senso atmosferico che distingue i nostri giorni, come in una cronaca ferma.

Se non credessi che la realtà va guardata senza schermi, che lo stato attuale delle cose è l’unico che ci interessa, forse troverei anche io tutta questa melanconia fuorviante. Ma quel che distingue questa formazione da altre è la assoluta lievità, lo spessore finissimo e delicato delle corde, la consapevolezza che nulla finirà mai finchè ci sarà, sui fondali della nostra esistenza, un gruppo di musicisti all’opera. Importa poco che la maggioranza del pubblico sia distratto, che il rumore del battibecco superi gli intrecci delle chitarre, ogni canzone ha bisogno soltanto di poche menti allenate, di un solo ascoltatore attento.

Peraltro, dal mio rifugio estatico, intravedo una comunità sempre più larga di cospiratori della speranza. Trovare la tessitura di accordo da qui fino ai droni gelati della scandinavia, ai pianoforti elettrici che abrogano il belcanto, alle marimbe poliritmiche dei climi più umidi non è difficile. C’è un disegno, a coprire i territori della nuova umanità, che si rende sempre più evidente a chi abbia orecchie per sentire. Non è tanto pianificata, la mappa del nuovo mondo, quanto sensibile ai mutamenti di visuale, ordinata secondo temperature e climi tutti da descrivere, attraverso segni e intelaiature che sono già qui, e che hanno bisogno di orecchie e occhi nuovi.