Schoenberg inventò la serie dodecafonica; Webern scoprì una segreta quiete nelle sue figurazioni; Cage e Feldman abbandonarono la serie ed accentuarono il senso di quiete; Young rallentò la serie e la rese ipnotica; Riley spostò i “suoni lunghi” in direzione della tonalità; Reich diede al procedimento un ordine sistematico e profondità di campo. La catena non si fermò qui.

Alex Ross – Il resto è rumore – 2007

Fuori dalle necessità accademiche, nessun compositorie lucido e attento poteva considerare le mitologie wagneriane, le megalomanie mahleriane o addirittura le eccentricità lugubri di Strauss e le melliflue forme del Bruckner tanto amato dal fuhrer, in quel dopoguerra che pareva essere la fine di qualunque mondo arcaico, di qualunque ipotesi conservatrice, di qualunque spinta nostalgica. Schoemberg e gli altri perseguitati viennesi invece furono il nuovo punto di partenza, gli estensori dell’unico vocabolario praticabile.

Nemmeno tanto improvvisamente le dissonanze più ardite parvero quasi banali, nulla in confronto all’azione fratricida appena trascorsa, terreno del tutto agibile su cui poggiare le nuove affermazioni di un mondo ancora tremante, destinato a vivere in un terrore nucleare chè una qualunque nuova guerra avrebbe spazzato ogni forma di vita. Al centro del nuovo impero occidentale il Jazz prese ben presto ad adoperare ritmi feroci, sonorità strazianti mutuate da compositori europei che facevano parte del mondo che la guerra l’aveva perduta.

La vera nuova onda sonora suggeriva l’insostenibilità di qualunque pratica precedente la guerra. L’orchestra si ridusse necessariamente ad affermare l’opportunità di una nuova economia di esercizio. Nuove unità mobili ed intelligenti abbandonarono incrementalmente i grandi teatri, verso una definizione progressiva di una musica più silenziosa, meno orientata all’affermazione perentoria e volta invece all’umile osservazione del mondo, all’integrazione delle culture considerate minori, all’accettazione dell’immensa estensione del suono terrestre.

Mentre John Cage suggeriva prospettive nuove (e nuove categorie sonore) ad ogni composizione, Karlheinz Stockhausen, come Berio, come Nono, si limitava a lavorare in piccoli laboratori radiofonici, su poche rudimentali attrezzature instabili e delicatissime. Le nuove sonorità risultavano del tutto adatte a tempi tanto promettenti quanto spaventosi, eroiche figure capaci di addomesticare tecnologie fragili e provvisorie collaboravano alla figurazione di un nuovo suono rarefatto e “rumoroso”, nel doppio intento di scrollarsi di dosso le orribile memorie belliche e di perpetuarne la consapevolezza.