Any intelligent fool can make things bigger, more complex, and more violent. It takes a touch of genius — and a lot of courage — to move in the opposite direction.
Albert Einstein

Se consideriamo l’economia politica della musica come campo sperimentale e di esercizio oggettivo, dando per scontata la presenza del pubblico ed il finanziamento in proprio dell’intera azione, abbiamo esempi luminosi cui rifarci. Se invece, come intendiamo noi, vogliamo considerare l’economia politica sperimentale come frutto assoluto delle condizioni musicali dell’epoca, allora quello che ci si para davanti è una intera teoria di ombre. Ma la disposizione unica che distingue la nostra relazione con la musica, sia che ci troviamo sul palco che in platea (un saluto provvidenziale al loggione) è la qualità del nostro impegno, non tanto la nostra esperienza, e forse nemmeno la nostra intelligenza.

La definizione di una economia politica sostenibile, cioè efficiente ed efficace, equilibrata e capace di considerare istanze differenti nel rispetto di minoranze culturali che non hanno niente di eccentrico ma molto di impegnativo, riesce molto più facile se facciamo riferimento alla produzione e all’ascolto attento della musica che ci troviamo di fronte, in questo momento. Ugualmente una filosofia che non abbia i piedi ben piantati in una pratica quotidiana, come quella della musica deve essere, radicata cioè in un sentimento che è prima di ogni altra cosa diffuso ed insieme tanto misterioso da essere incomunicabile con un mezzo che non sia musicale, è risibile.

Forse è molto più evidente, nella seconda ipotesi indicata sopra, il numero delle occasioni mancate, delle germinazioni frustrate, delle luminescenze umane costrette al secondo piano da una gestione semplicemente criminale del bene comune. Pare insomma che, mentre non ci sono particolari problemi a rendere un principio economico l’asse su cui la nostra vita individuale gira, sia molto difficile sostenerlo a lungo. La relazione di un musicista con il pubblico è la costruzione di un ambiente in cui il molto difficile muta in possibile. In fondo anche la speranza è ad un solo passo, sempre.

La performance musicale, nel frattempo, determina una atmosfera in cui le leggi ideali, quelle temporali e forse pure quelle spirituali si sospendono. E’ uno spazio in cui il nostro giudizio è irrilevante, in cui la sofferenza è sopportabile, in cui la mutazione delle nostre categoria preconcette, le nostre abitudini di comodo e la nostra stessa identità svaniscono in una nuvola di leggerissimo, lievemente illuminato nuovo ordine. In questo spazio in cui la luce è assoluta ognuna delle nostre componenti assume una consistenza instabile, ogni sequenza genetica è, per un momento esteso, riscrivibile.