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Controversa la storia dei racconti cinematografici musicali: molti detestano la semplice riduzione di un evento musicale, altri considerano la mitologia filmica quanto quella discografica. Ci sono in effetti molti esempi del tutto differenti e riunire da qualche parte un concetto che riguardi tutti i film cosiddetti musicali è ozioso e forse anche un po’ stupido.

La nostra è una cultura visiva, la nostra esperienza come tale viene registrata visivamente, tale pertanto si trova ad essere la struttura della nostra memoria, l’arco della nostra mitologia, l’intera nostra percezione del mondo. Ovvio quindi che il supporto privilegiato per la commercializzazione di questa buffa merce discografica, abbia finito per essere sempre visuale.

Essenzialmente la cultura popolare è una cultura dell’immagine, una grande parte dell’invenzione rilevante che le popstar compiono è un’azione di costume, di teatro contestuale. Sarebbe inimmaginabile quindi che le grandi operazioni di registrazione visuali fossero secondarie. Il nostro archivio video, insomma, durerà più di quello audio.

Se Don’t Look Back di A.Pennebacker poneva tutta l’enfasi sulla realtà quotidiana di Bob Dylan in Inghilterra nel 1965, anzichè sulla costruzione di una immagine che sarebbe risultata molto più gradita ai distributori, vicecersa l’intera epopea di Woodstock possiede una dimensione molto maggiore sul documento filmato che nella realtà da qualunque punto di vista, essendo che alla fattoria di Yasgur, nell’agosto 1969, nessuno riuscì mai a sentire molto, in una varietà di posizioni fuori dal palco, a causa di un impianto di diffusione del suono del tutto inadeguato.

Di recente sono usciti più o meno ben distribuiti documentari che si possono permettere anche l’abbandono di una mitologia falsa, infantile e comunque superata. La costruzione Hollywoodiana così smaccatamente adoperata nella promozione di attori adatti, a cominciare da Elvis, bamboccione bianco che rasenta la perfezione in questo senso, per continuare fino ad ogni ordine e grado di bambole fintamente sexy finchè intoccabili, crolla senza remissione.

Registi seri e maturi si impegnano a definire in modo visuale e musicale allo stesso tempo, il carattere autentico degli autentici protagonisti del suono dei nostri giorni, artisti sfuggenti e magari eccessivamente discreti accettano di esporsi in una dimensione a loro meno congeniale per corroborare finalmente le qualità essenziali del proprio discorso musicale.

Così i nostri oggetti favoriti esaminati qui sono benedizioni illuminanti che il cielo, ed ottime squadre produttive, rilasciano. Squarci narrativi completi e definitivi a riguardo dei nostri amatissimi eroi, informazioni e punti di vista che spiegano in una sola occhiata molto più di un trattato filosofico come questo.

Yo-Yo Ma – The sound of the carceri – 1998
Nusrat Fateh Ali Khan – A voice from heaven – 2001
King Crimson – Eyes wide open – 2003
Keith Jarrett – The art of improvisation – 2005
Lisa Gerrard – Sanctuary – 2006
Bob Dylan live at the Newport Festival – 2007
Scott Walker – 30 century man – 2007

Steve Reich’s City life – 1995
Robbie Robertson – Going home 1998
Down fron the mountain – 2000
Bjork – Royal opera house 2001
Ron Fricke – Baraka – 2001
Miles electric – a different kind of blue- 2004
Tim Buckley – My fleeting house – 2007